Monologo di Sigismondo
da "La Vita è Sogno", di Calderon de la Barca
Oh sventurato me! Oh, me infelice!
Conoscere, o cieli, pretendo,
tanto da voi afflitto,
quale commisi delitto,
contro di voi, nascendo.
Ma, già col nascere, intendo,
gran delitto ho consumato;
più che bastante reato
di vostra giustizia al rigore;
poichè il delitto maggiore
per l'uomo è d'essere nato.
Solo sapere vorrei,
per sopportare il tormento,
- e trascuriamo un momento
che il nascere ci fa rei -
quale altra colpa avrei
per un castigo di più?
Chi non è nato, quaggiù?
Se tutti gli altri son nati,
quale grazia li ha salvati,
che me ignorò, di lassù?
Nasce l'uccello, di gale
e grazie uno splendore;
e appena è un piumoso fiore
o un ramoscello con l'ale...
Via! per l'eteree sale
si scaglia in velocità;
e il richiamo di pietà
dal nido non lo disanima.
E io con tanta più anima
resto senza libertà?
Nasce la fiera, di pelle
leggiadramente screziata
ed appena è diventata
una figura di stelle,
Via! feroce e ribelle!"
Umana necessità
le insegna la crudeltà
mostro del suo labirinto.
E io, con più santo istinto,
resto senza libertà?
Nasce il pesce e non respira,
d'alga e di fango groviglio,
ma appena squammeo naviglio
in vetta all'onda si mira,
Via! in ogni senso gira,
scandagliando l'entità
di tutta l'immensitò,
che gli offre il freddo elemento.
E in me, l'arbitrio del talento
resta senza libertà?
Nasce il ruscello: un anguilla
che fra le erbe e i fiori sguiscia;
ed appena, argentea biscia,
incontro ai fiori zampilla,
Via! lodando a tutti squilla
dei fiori la carità,
che gli offre la maestà
di campi da invadere a corsa.
E in me, ogni mia risorsa
resta senza libertà?
Ridotto a tanto furore
un Etna mi sento, un vulcano,
vorrei strapparmi a brano
a brano dal petto il cuore.
Di quale legge il rigore
negare ad un uomo saprà
sì primaria immunità,
privilegio così bello,
che Dio concede a un fiore,
a una fiera, a un uccello,
a un ruscello?
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